Rassicurante e umida in questi giorni.
Mi sento stressata senza che ce ne sia motivo, mi sento soffocata quando sono tutt'altro che avvolta.
Aspettavo qualche telefonata in più, forse.
Non so cos'aspettavo.
Eppure Roma la sento sempre meno mia. Sempre più lontana. Più ci torno più ho voglia di fuggire, più ci vivo più non voglio rimanerci.
Strano provare certe cose per una città che ti ha visto nascere e anche, un po', crescere.
Credo di sentirmi di nazionalità più mista che italiana. Voglio dire: nasci a Roma e inizi lì la scuola materna.
Poi te ne vai tra fiumi salati e bimbi ricciuti in Casamance, dove vivi da nababbo per un anno con filetti di pesce fresco tutti i giorni e libertà di movimento totale. Allevi i girini (e ti muoiono tutti) e tuo papà ti fa i cappelli da fatina per Carnevale mentre lavora, ha in mente di aprire un ristorante e costruisce il trimarano Anarchia. Sulla vela la A cerchiata la disegni tu, a 4 anni, la stessa che hai voluto che papà disegnasse sul tuo cappellino giallo. Quello con la visiera che si ripiega tutta incartapecorita da quel meraviglioso sole senegalese.
Poi torni a Roma e non hai capito molto bene cos'è successo. E lì hai dovuto lasciare almeno tre grandi amici: la tua prima cagnetta, Toto, quella che credevi fosse un maschio finché non ha sfornato 8 cuccioletti. E l'hai lasciata perché mamma e papà ti hanno detto che è abituata a correre libera e a Roma, nell'appartamento (parola che non visualizzi più, non sai più cosa vuol dire...), non ci potrebbe stare. Il cucciolo di cervo, Chico, che, insieme a papà, hai allattato col biberon. Il tuo grande amico e primisssssimo amore, Toni, che rivedrai sorpresa 10 anni dopo.
Inizi la scuola elementare, con i grandi. Hai tanti amichetti, addirittura un fidanzato, si chiama Stefano ed è daltonico (te l'ha spiegato lui cosa vuol dire 'daltonico'). Arriva la seconda cagnetta, un sacco di pulci biondo che ti salta addosso e ti fa un po' paura, la chiami Kim perché stai guardando Fantaghirò e ti piace tanto Kim Rossi Stuart. Poi riparti.
Hai otto anni e non sai una parola di francese. Saluti tutti, piangi un po', ma più per fare scena che per dispiacere: in fondo è un'avventura nuova, e ti piace. Ed eccoti lì, in quel paradiso di calore. Calore fisico, calore umano. In quella capitale di 10 km di diametro totale in cui hai il permesso di andare dove vuoi in bicicletta fino alle 8 di sera. Dove la gente per strada, che non ti conosce, ti chiede se stai bene e come sta papà. Dove hai un giardino immenso per il tuo cane, una piscina in cui fare il bagno 365 giorni l'anno, un albero di manghi e uno di zucche (e scopri che le zucche africane sono prima verdi e pesanti e poi si possono far seccare, mangiare e intagliare. Ma non sono arancioni come quelle in tv. E galleggiano, se le butti in piscina), tantissimi amici. Un cavallo arabo, bianco a pois grigi, tutto tuo. Scuola solo di mattina, pomeriggi di passeggiate a cavallo, suoni il pianoforte una volta a settimana, la domenica a cena fuori con mamma e papà. Ti innamori, davvero. Del tuo dirimpettaio. Vai da lui tutti giorni. I primi baci. Sei felice, lo sei davvero. Poi finiscono quattro anni di perfezione, di intrighi preadolescenziali, di litigate furiose e di amicizie durature. Ti dicono che devi tornare a Roma. E piangi. Ma davvero, stavolta. Saluti tutti, partendo dal cavallino arabo per finire con il tuo fidanzatino che però ti ha lasciato, e sei triste. All'aeroporto non hai mai visto tanta gente che ti è venuta a salutare, dal vicino al ragazzino che vendeva manioca davanti casa tua (una radice piccola 25FCFA, una grande 50) alla tua professoressa russa di pianoforte che ti faceva suonare solo marce funebri al barista del club di tennis dove giocava la mamma e dove passavi un sacco di pomeriggi a sparlare, pettegolare, architettare. Dove hai fumato di nascosto la prima sigaretta.
E torni a Roma. Intrappolata. Che appena fa buio devi stare a casa perché è pericoloso. Che devi prendere i mezzi e fare attenzione al portafoglio. Che a scuola ti guardano per come sei vestita. Che organizzi la tua prima festa e nessuno balla, allora vai a piangere dalla mamma. Nessuno conosce Céline Dion, Ismael Lo, Youssou N'Dour, Zedess. Al massimo puoi parlare di Bob Marley, ma Lou Reed e De Andrè sono ancora sconosciuti per i tuoi coetanei 13enni. E tu ci sei cresciuta. E non sai cos'è la macarena, non sai neanche perché tutti la ballano allo stesso modo. E nessuno ascolta la zouk.
Allora ti adatti. Perché lo spirito di adattamento, certo, non ti manca affatto. Impari ad ascoltare dance, commerciale, quelle musichette che hai sempre criticato, con papà. Metti da parte le musicassette di Guccini con le quali ti addormentavi la sera per ascoltare U2 e Cranberries. Che alla fine ti piacciono. Ti rifai tanti amici, anche se li ritieni superficiali. Butti le briciole e il pane vecchio, anche se ti sembra uno spreco. Fai shopping, anche se non capisci il perché. Balli senza conoscere la musica, e ti diverti, in fondo. Poi decidi di cambiare scuola. Perché quell'ambiente ti soffoca, troppo. Perché tu non vai in settimana bianca e non hai mai visto la neve, a Pasqua non hai la casa a Sharm-el-cheikh e non abiti né ai Parioli né a Trastevere.
E ti manca tanto la tua vecchia mountain bike rossa e blu.
E si cambia. Altra gente, altra musica, altri valori di riferimento. E ti trovi decisamente bene. E inizi a capire cos'è ''lo studio''. E ti chiudi in camera ore e ore per tentare di decifrare testi in latino così lunghi che non sapevi si potesse scrivere così tanto. E testi in greco di cui non capisci né verbo né soggetto. Piangi tanto perché non vuoi fare interrogazioni di storia orali, hai paura. E passi l'anno tutto sommato con soddisfazione. Perchè si può dire tutto ma non che tu ti sia arresa. Anzi. La testardaggine già si vede. E cresci. Scopri internet. Ti fai tanti amici telematici, scopri i giochi di ruolo. Il tuo primo vero amore. Le prime vere esperienze. Estati da sogno. E studi, studi, studi. Studi così tanto che neanche ti rendi conto che stai migliorando davvero, a scuola. Che da chi arranca sei passata, se non al gruppo in testa, a quelli che non arrancano più, e si impegnano lo stesso. Ormai il vero obiettivo sono quei numeri tondi, 8, 9. Sorridi.
Maturità. Estate. Cambiamenti, tantissimi. Ti rendi conto che hai superato la prova. Che puoi andare a Parigi. Finisce un amore, ne inizia un altro.
Parigi. Ancora fuggi, si. Universo per molti versi parallelo, strano. Stressante. Il primo blog. Ti sfoghi, piangi, piangi in continuazione. Eppure ti innamori di quella città in cui il cielo è sempre vagamente luminoso e l'aria stranamente dolce e fragrante. Non solo al mattino. Ti innamori della tua vita lì, ma non puoi rimanerci. Non reggi quello stress. O forse, semplicemente, non vuoi reggerlo. Non ti va. Non ti senti pronta a chiuderti in capanne di libri, a far fronte a professori che sono lì a posta per denigrarti, perché così funziona. E forse non ti va neanche di rinunciare a una storia insieme al tuo tesoro, insiemeinsieme nella stessa città.
E torni a Roma. Una Roma in cui trovi i tuoi amici, un po' cambiati e un po' no. In cui inizi l'università vera, con i suoi orari strampalati e i suoi professori in ritardo, distanti, distaccati. I primi veri esami. Successi, insuccessi, stress. Altri amici. Giochi di ruolo. E la vita con il tuo tesoro nella stessa città è bella, come pensavi. Ma non riesci a stare ferma, non puoi.
Hai la patente, e il permesso di guidare quella macchinetta rossa della mamma.
Sei stata a Milano, hai rivisto Chiara. Hai scoperto i telefilm (!!). Hai scoperto un altro lato di internet, hai scoperto forum di discussione. Che poi non è ti abbiano convinto subito, eh. Però.
Hai delle ballerine, e un vestito di Zara. Hai scoperto anche che al reparto bambini ti entra ancora qualcosa, nonostante fianchi larghi e una quarta di reggiseno (¬¬).
E scappi, di nuovo.
Bruxelles. Sono solo sei mesi, sei mesi di un erasmus che ti dovrebbe fornire un distacco da Roma, una nuova esperienza.
Bruxelles, in fondo, ti piace. La neve in città, la vita in una casa con altre 5 (+3) persone. Certo, ti manca Roma.
E ti ritrovi a tornare a Roma alle prime vacanze.
E.
A non sentirla più tua.
Bella, sempre bella. Umida. Calda. Ma forse non proprio di calore umano. Non così tanto.
E.
Vuoi fuggire.
Di nuovo.
Close to nothing at all. Same old scenario, same old rain, there's no explosions here.
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