lunedì 16 aprile 2007
Harder now with higher speed
Tornata per vari motivi la voglia di scrivere.
Una specie di grafomania incalzante ed invadente.
Quest'ultima piccola valanga di parole, in compenso, mi piace. Mi piace perché è corta, perché è leggera. Perchè ho accantonato il personaggio femminile laconico che oramai sotto la mia penna è logoro e abusato (parlo di me come di una scrittrice. Ma per favore!).

Quindi lo sottometto qui.
Era un racconto costruito da un discorso con una persona e in base a determinate parole che abbiamo scelte insieme:
bugia, bosco, battuta, luminosa, fuoco, luna, america, pelo, gondola, oca.

E dunque, ecco a voi,

Smilla

Non che l’avessero ignorata.
Anzi. A lei non erano mai piaciute quelle persone che si prodigano in coccole come il gatto perde il pelo sotto al divano.
Così si ergeva dal suo posto di battaglia, senza perdere una battuta di quello che stavano dicendo a tavola.
La cena era stata delle più succose: ossobuco, annesso brodo e tortellini (quelli portati dalla nonna), polpettone, tiramisù. Niente male. Anche lei aveva avuto modo di gioirne. I resti, poi, avrebbero fatto contento il terrier del vicino, quello con sempre mille storie divertenti da raccontare.
Così Smilla non perdeva una battuta di quello che si diceva. Sapeva benissimo che erano a quel preciso punto, a metà tra il tiramisù e il caffè, tra le lagne per l’ora della nanna e la lettura del giornale del nonno davanti al fuoco, a quel preciso punto in cui si sarebbe deciso il suo destino.
Così era pronta, all’erta, attenta come non mai. Certo lo celava sotto un’espressione farlocca, un occhio vacuo, proprio quell’espressione da oca che le rimproveravano molte amiche.
Si alzano i toni; il nonno ciabatta verso l’angolino suo, meta che ultimamente frequenta molto spesso. Poi torna, dopo quell’antipatico rimbombo risciacquoso che risveglia in Smilla lo stesso bisogno del simpatico vecchietto. Le lancia un’occhiata di semi rimprovero mentre passa davanti al divano. Ma quella è una cosa loro, uno scherzo, una bugia tutta da gustare. Come i tortellini e l’ossobuco. Perché il nonno non è mai arrabbiato con lei, in realtà. Al nonno lei piace. E lei ricambia come può.
Con un sonoro sbuffo Smilla cambia posizione, per sgranchirsi rimanendo comoda. E attenta.
Non un attimo di distrazione; in questo momento deve ignorare quella fiamma del caminetto che guizza luminosa come una stella cadente. Deve ignorare le storie cacofoniche che fa il terrier del vicino per conciliare (o impedire) il sonno di tutta l’America. Smilla in America in realtà non c’è mai stata. Ma ne ha viste molte rappresentazioni: in tv, nei giornali (anche in quelli che Andrea tiene sotto al letto convinto che nessuno li trovi). L’America per Smilla è esattamente come il suo quartiere: rumorosa, variopinta, un po’ puzzolente ma abbastanza chic per non farlo notare e abbastanza snob da pretendere che anche il puzzolente sia all’ultima moda. Certo, di donne come quelle sui giornaletti di Andrea, Smilla ancora non ne ha mai vista neanche una. Ma non esclude che, semplicemente, non abbiano i suoi stessi orari.
Un secondo sbuffo, sta divagando. I suoi pensieri annebbiati dal troppo cibo le impediscono di concentrarsi; ma non è il momento di giocare. Oramai anche Cecilia sta finendo la terza porzione di tiramisù, e il nonno già reclama a gran voce il suo decaffeinato ‘per digerire’.
Ed eccola, lì. Smilla si sente osservata, arrossisce. Ma ovviamente non se ne accorge nessuno. Se ne accorgerebbe solo Bò. Ma Bò lei lo vede quando fa buio nel bosco. Dietro al pino grande, in mezzo alla radura dove ci sono le panchine. Su quelle panchine ci si siede gente strana. Ci si siede sempre un signore, per esempio. Ha un cappello da veneziano. Smilla questo lo sa perché una volta Cecilia ha dovuto fare una ricerca per scuola e il titolo era ‘La Gondola’. Allora Smilla, in quel suo modo materno e affettuoso, l’ha confortata per tutto il pomeriggio per aiutarla a concentrarsi. E così ha scoperto che in un posto, forse un altro quartiere come il suo, come l’America, che si chiama Venezia, invece di quelle casse su ruote le persone vanno in giro su una gondola, con degli strani cappelli. Ogni tanto anche delle maschere. Non aveva capito proprio bene come si muovessero, ma sospettava che qualcuno sotto li trascinasse, o che avessero imparato a volare.
E di nuovo, fantasticherie. E di nuovo, si riporta alla realtà. Non è il momento di distrarsi, diamine! (“Diamine”, Smilla non lo sa cosa vuol dire, ma il babbo la ripete sempre questa parola…).
Fissa, attenta, proprio il babbo. Che si alza a prendere la caffettiera da casa, quella che usano quando non ci sono altre persone a tavola. Smilla ha un tuffo al cuore: che si siano dimenticati?
Poi, a metà del movimento d’aprire l’anta dove si trova il barattolo con l’etichetta: CAFFE, il babbo si volta, pensieroso. Nel girarsi incontra prima la finestra, dove fissa la notte schiarita dalla rassicurante luna piena, poi lo sguardo un po’ farlocco dietro al quale Smilla si nasconde. Sorride, indi rivolge ai commensali la fatidica domanda:

- Chi è che porta fuori Smilla, stasera?
 
posted by Camilla at 21:15 | Permalink |


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